25 agosto 2020, a

La Bielorussia non è l’Ucraina: in piazza neanche una bandiera UE.

Articolo di Federica Olivo, del 24 agosto 2020, tratto da: https://www.huffingtonpost.it/entry/la-bielorussia-non-e-lucraina-in-piazza-neanche-una-bandiera-ue_it_5f439be8c5b6763e5dc59bda?ncid=other_email_o63gt2jcad4&utm_campaign=share_email – Il sottotitolo dice: «Lukashenko si aggrappa a Mosca, l’opposizione non guarda, per ora, all’Occidente. Nona Mikhelidze (Iai): “Putin ancora lo sostiene perché non vuole l’ennesimo precedente nel mondo post sovietico, ma il regime di Minsk non è un alleato facile”».

Per gli analisti le proteste contro Alexander Lukashenko sono state una sorpresa. Chi pensava che si sarebbero esaurite in pochi giorni dovrà, però, ricredersi. Ieri – a quindici giorni dalle contestate elezioni con le quali il presidente sostiene (tra le accuse di brogli) di essere stato confermato per il sesto mandato – a Minsk è andata in scena l’ennesima manifestazione [link all’originale]. Decine di migliaia di persone hanno sfilato per chiedere all’ultimo dittatore d’Europa [e Conte, in Italia, cos’è l’ultimo o il penultimo? N.d.R.] di andarsene e la celebrazione di nuove elezioni. Un fiume di oppositori – di cui fino al giorno del voto né le autorità locali né gli osservatori internazionali ipotizzavano l’esistenza – ha attraversato le piazze principali della città.

A guardarla dall’alto, la marea umana aveva due colori: il bianco e il rosso. Quello della bandiera che fu usata in Bielorussia tra il 1991 e il 1995, anno in cui fu sostituita, dopo un referendum. Il bianco e il rosso soltanto, perché nella piazza di Minsk non c’è alcun riferimento al blu dell’Unione Europea.

«Le proteste in Bielorussia – spiega all’HuffPost Nona Mikhelidze [link all’originale], ricercatrice e responsabile del Programma Europa Orientale e Eurasia dell’Istituto Affari internazionali – nascono per ragioni interne. I manifestanti chiedono di andare di nuovo al voto. Vogliono la fine del regime di Lukashenko. Non c’è nessuna spinta verso l’Ue». Quello che sta succedendo in Bielorussia non è, quindi, una replica di quanto accadde in Ucraina: «In quel caso gli attori della protesta chiedevano un avvicinamento all’UE, volevano la firma dell’Accordo di associazione [link all’originale] tra l’Ucraina e l’Unione Europea. A Minsk non c’è niente di tutto questo», afferma Mikhelidze. Almeno per il momento. Perché le cose potrebbero cambiare in futuro [va là, va là! N.d.R.]. Ed è questo che spaventa [ha appena detto che non vogliono, ma no, bisogna criticare Mosca, commentando non i fatti ma le eventualità che potrebbero o meglio si vorrebbe che succedessero! Più fantapolitica di così! N.d.R.] Mosca: vedere un altro Stato ex sovietico scivolare verso l’Occidente, verso l’Unione Europea. L’ipotesi al momento appare poco praticabile – difficile immaginare che la Russia, anche se Lukashenko dovesse lasciare il potere, consenta che accada – ma che potrebbe verificarsi se effettivamente l’opposizione avesse la meglio e riuscisse a far migrare il Paese verso la democrazia [diabolico! L’Occidente è il regno della democrazia? Da quando esiste l’Unione Europea? Che menzogna enorme! N.d.R.].

«La Russia, fino a pochi giorni fa, pur avendo dato il suo sostegno ufficiale a Lukashenko, era apparsa piuttosto moderata. Le cose sono cambiate negli ultimi giorni», sostiene la ricercatrice. Del resto non possono essere definite propriamente moderate le ultime dichiarazioni di Sergej Lavrov. Il ministro degli Esteri russo ieri ha accusato l’opposizione bielorussa di voler agire come in Venezuela [link all’originale], facendo riferimento all’auto-proclamazione Juan Guaidò, nel 2019, dopo le elezioni che Nicolas Maduro sosteneva di aver vinto. Poi le parole di fuoco: «C’è chi vuole che la situazione pacifica in Bielorussia precipiti nella violenza, cercano di provocare lo spargimento di sangue».

Eppure, dietro le apparenze, a Vladimir Putin e ai suoi costa spendersi per Lukashenko. Più che per amicizia, lo fanno per convenienza [la giornalista ha confidenti che le hanno rivelato questi sentimenti reconditi? N.d.R.. La stessa che ha animato i rapporti tra Mosca e Minsk in questi ultimi 26 anni. «Anche la Russia – racconta Mikhelidze – è rimasta sorpresa dalle proteste in Bielorussia. E si è trovata in difficoltà. Il motivo? Lukashenko non è mai stato un alleato facile. Si avvicinava e allontanava da Mosca in base alle situazioni e ciò creava una certa irritazione da parte del Cremlino. È pur vero, però, che tra regimi autoritari ci si intende. Il dialogo è più semplice». 

Opposition supporters rally to protest against disputed presidential election results in Minsk on August 23, 2020. – Tens of thousands of demonstrators massed in central Minsk on August 23 to demand the resignation of Belarusian President Alexander Lukashenko, the latest in a wave of protests against his disputed re-election. (Photo by Sergei Gapon / AFP) (Photo by Sergee Gapon/AFP via Getty Images)

Putin aiuta Lukashenko pensando ai suoi interessi e non a quelli dello scomodo partner [continua la filastrocca ideologica dell’articolista europeista. N.d.R.]. «Il Cremlino – spiega la ricercatrice – ha chiara davanti a sé l’immagine di un presidente bielorusso quasi del tutto delegittimato, ma ha anche una grande paura: che a Minsk si crei l’ennesimo precedente. Quello di un ex Paese sovietico che sceglie la strada della democrazia». Sottraendosi, in questo modo, dall’ala di Mosca. O, almeno, provandoci. Perché, se per il momento la piazza bielorussa non guarda a Bruxelles, non è detto che ciò non possa accadere in futuro: «Una Bielorussia democratica sarebbe più facilmente alleata dell’Occidente che non di Mosca, e chiaramente Putin non vuole correre questo rischio». Come agirà, quindi, il Cremlino? «Io credo che sosterrà Lukashenko fino a quando riterrà che possa avere chance per restare al potere. Ma se dovesse accorgersi che il presidente bielorusso ha i giorni contati, potrebbe chiedergli di fare un passo indietro. Per salvare la faccia, come è successo nel 2003 in Georgia. [link all’originale]».

Mosca a parte, l’Unione Europea sulla crisi di Minsk ha detto la sua. Può essere sintetizzata con alcune righe dell’intervista che Josep Borrell ha dato al Pais [link all’originale]. L’obiettivo, ha spiegato l’Alto rappresentante UE per la politica estera e la sicurezza, è «spingere per una riforma politica, ma evitare di apparire come un fattore di distorsione, che è il modo in cui potremmo essere percepiti dalla parte russa» [viva la sincerità, la democrazia che l’UE vorrebbe instaurare con l’inganno! N.d.R.].

Grandi assenti nel dibattito internazionale sono gli Stati Uniti. Dopo alcune timide dichiarazioni di Trump e Pompeo, a Washington è calato il silenzio. Perché? «La risposta, a mio parere – chiosa Mikhelidze – si trova negli stretti rapporti tra Trump e Putin. Un qualsiasi altro presidente degli Stati Uniti si sarebbe schierato più apertamente dalla parte dei manifestanti. L’atteggiamento del tycoon, quindi, dovrebbe farci riflettere» [non è stata capace di chiudere senza una frecciatina a Trump, come quando parlano dell’Italia non sanno far a meno di attaccare Salvini; non avendo argomenti, hanno attacchi verbali, all’isterica. N.d.R.].

Valery Sharifulin via Getty Images

***

Volti maschili.

***