3 settembre 2020, a

FIORI, «Non serve sapere l’italiano per fare il medico in Alto Adige»: in Senato la SVP strappa il primo sì alla sua norma dalla maggioranza

La senatrice Julia Unterberger

Articolo di oggi 3 settembre 2020, di Daniele Fiori, tratto da: https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/09/03/non-serve-sapere-litaliano-per-fare-il-medico-in-alto-adige-in-senato-la-svp-strappa-il-primo-si-alla-sua-norma-dalla-maggioranza/5917858/ – Il sottotitolo dice: «La Südtiroler Volkspartei cerca da tempo un modo per consentire ai medici che sanno solo il tedesco di esercitare comunque nel privato (nel pubblico viene garantito il bilinguismo): il provvedimento è stato inserito con un emendamento nel decreto Semplificazioni e ha ottenuto il via libera in Commissione, manca solo l’ok a Palazzo Madama. Dove i tre senatori sudtirolesi sono pronti – in cambio – a votare la fiducia. La Federazione degli ordini chiede un “passo indietro”».

Basta sapere il tedesco per iscriversi all’albo dei medici ed esercitare la professione in Provincia di Bolzano: la Südtiroler Volkspartei è riuscita a ottenere il primo sì a una norma cruciale per il consenso locale del partito di governo in Alto Adige. Il provvedimento infatti è contenuto in un emendamento al decreto Semplificazioni, presentato dalla senatrice Svp e presidente del Gruppo per le Autonomie, Julia Unterberger: la norma ha già ottenuto il via libera in Commissione, grazie ai voti della maggioranza. Ora manca solo il suo inserimento nel maxi-emendamento che sarà votato in Aula a Palazzo Madama insieme al decreto, su cui il governo si prepara a mettere la fiducia. Al Senato i voti dei tre senatori Svp, potenzialmente importanti per garantire al governo una solida maggioranza [link all’originale], arriveranno solo in cambio dell’ok alla norma. Intanto protesta la Fnomceo (Federazione degli ordini dei medici) che, attraverso il presidente Filippo Anelli, ha chiesto al governo e al Parlamento di fare un passo indietro.

Da tempo la SVP cerca una soluzione per consentire ai medici tedeschi che non conoscono l’italiano di esercitare comunque la loro professione, almeno nel privato. Un modo per fare arrivare professionisti dalla Germania e dall’Austria e sopperire alla carenza di camici bianchi soprattutto nelle valli, dove il tedesco resta la lingua più parlata. Un problema concreto, tanto che l’Asl ha dovuto prorogare fino a fine 2021 i contratti dei medici senza bilinguismo e senza specializzazione per evitare di rimanere senza medici. Inoltre la modifica, ha sottolineato al Corriere dell’Alto Adige il consigliere provinciale M5s Diego Nicolini, «a parti invertite, darà un’opportunità in più ai medici di sola lingua italiana». Come sempre però, la partita è soprattutto politica: dopo il caso Thomas Müller, primario del laboratorio dell’ospedale di Bolzano radiato (e poi riammesso) dall’ordine provinciale nel luglio 2019 per conoscenza solo passiva dell’italiano, la destra sudtirolese ha cominciato una pesante campagna elettorale per denunciare la carenza di medici che conoscano la lingua tedesca [link all’originale].  La SVP ha cercato di correre ai ripari già a ottobre scorso, con una legge provinciale finita al centro delle polemiche perché dal testo era stato rimosso il nome “Alto Adige”. Come già allora aveva spiegato ilfattoquotidiano.it, la vera partita era un’altra: non la toponomastica, bensì l’accesso all’albo dei medici di chi parla solo tedesco [link all’originale].

Il governo però, per mano del ministro Francesco Boccia, ha impugnato la norma. Il partito di governo sudtirolese allora ha scelto un’altra strada e con il decreto Semplificazioni si è presentata la prima occasione utile. «Per il territorio della Provincia autonoma di Bolzano, la conoscenza della lingua tedesca costituisce requisito sufficiente di conoscenza linguistica necessaria per l’esercizio delle professioni sanitarie», si legge nell’emendamento presentato dalla senatrice Unterberger ma firmato anche da Steger, Durnwalder e Laniece. A tutela del bilinguismo viene almeno previsto che «nei servizi sanitari di pubblico interesse l’attività deve essere organizzata in modo che sia garantito agli utenti l’uso delle due lingue, italiana e tedesca».

Il presidente della Provincia di Bolzano, Arno Kompatscher, ha provato subito a spegnere ogni polemica: «La modifica normativa che è in discussione al parlamento riguarda soltanto la mera iscrizione dei medici di lingua tedesca all’ordine con riferimento specifico soltanto all’esercizio della professione privata sul territorio della Provincia di Bolzano». «Per quanto riguarda il servizio sanitario pubblico – ha ribadito il governatore SVP – vige comunque e vigerà sempre l’obbligo della conoscenza della lingua italiana, oltre a quella della minoranza tedesca sul territorio». Secondo Kompatscher, «la normativa si rende necessaria perché la direttiva europea prevede espressamente che gli Stati là dove alla lingua ufficiale dello Stato esistono altre lingue amministrative equiparate, l’esercizio della professione deve essere possibile anche per coloro che parlano quella lingua amministrativa».

Le critiche arrivano comunque, a partire dalla Federazione degli ordini dei medici: «Non sapevo che la provincia di Bolzano fosse stata annessa all’Austria – ha ironizzato il presidente Anelli – La lingua ufficiale del nostro Paese, del nostro Servizio sanitario nazionale, è ancora l’italiano». «Comprendiamo l’importanza del bilinguismo in Alto Adige e, anzi, lo appoggiamo», ha proseguito il numero uno di Fnomceo, ma «esprimiamo la nostra contrarietà, anche in considerazione del fatto che una legge provinciale che andava nella stessa direzione è stata impugnata dal governo italiano di fronte alla Corte Costituzionale». «Ci appelliamo dunque al governo e al Parlamento perché facciano un passo indietro e stralcino l’emendamento. Chiediamo in particolare alla Presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati lo stralcio per estraneità di materia», ha concluso Anelli.

Da Bolzano, dove è intervenuta durante la campagna elettorale per le comunali, la leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, ha criticato non tanto il merito ma il metodo: «Non si modifica lo Statuto d’autonomia con una legge ordinaria e certamente non ponendo il voto di fiducia», ha detto Meloni. Aggiungendo: «La questione è come possiamo garantire a tutti i cittadini in Alto Adige, quelli di lingua italiana e tedesca, di essere curati, comprendendo il medico. Non credo che la via sia quella indicata dal governo». Malumori anche di una minoranza interna ai Cinquestelle, come dimostra il post su Facebook della ex ministra della Salute, Giulia Grillo: «Anche se in uno dei commi è specificato che nei servizi sanitari di pubblico interesse debba essere garantito il bilinguismo, non è sufficiente a rendere l’emendamento neanche lontanamente accettabile», ha scritto la deputata Cinquestelle.

La SVP non replica e si prepara al voto a Palazzo Madama: il decreto Semplificazioni deve essere approvato entro il 14 settembre. «La maggioranza ha espresso un voto compatto sul nostro emendamento. Ringrazio tutti i colleghi di PD, M5S, Italia Viva che sono convenuti sulle nostre posizioni al termine di un confronto intenso ma fecondo», ha detto il senatore Dieter Steger, uno degli artefici della trattativa. Un modo per ricordare che una volta ottenuto il via libera definitivo al provvedimento, la SVP garantirà i suoi tre sì al voto di fiducia. La Südtiroler Volkspartei si prepara a proseguire il dialogo con il governo: i prossimi nodi riguardano la revisione del Patto di garanzia sul gettito fiscale, la concessione dell’autostrada A22, ma anche le regole su orsi e lupi.

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Sul monumento della città di Belluno agli infoibati.

La lapide dice: «Vittime delle Foibe / mi hai gettato nella fossa profonda / …nelle tenebre degli abissi. / salmi 87-88». Questo testo è oltremodo inadatto e tale che, a dire il vero, chi l’ha scritto dovrebbe vergognarsene. Questi i motivi:

1) La lingua italiana, per non dire il buon senso, voleva e vorrebbe che si fosse scritto e scrivesse: «Alle Vittime…», così come in latino si diceva, per fare un esempio: «Deo Optimo Maxino» (al dativo) e non certo: «Deus Optimus Maximus» (al nominativo).

2) Le «vittime delle…» in buon italiano significa: «Le vittime a causa delle…»; è una forma abbreviativa di quest’ultima frase. È vero che, nel parlare comune, tante volte si ignora e quindi involontariamente non si rispetta questa regola linguistica ma ciò non è ammissibile in un testo di importanza pubblica e civica, qual è una lapide posta da un’Amministrazione pubblica, da una città. Gli infoibati non sono morti per colpa delle foibe o perché, per una loro disattenzione nel camminare, siano finiti nel buco e nel crepaccio di una foiba, come potrebbe essere in un incidente in montagna o al mare. La frase cerca, volutamente, di nascondere la verità, la storia: gli infoibati furono, vivi o già uccisi che fossero, persone ammazzate, assassinate. Bisognava dire, perciò: «Alle vittime dei partigiani», perché, in ogni caso, al di là delle motivazioni e dei numeri relativi agli infoibati, a scaraventare quei cittadini nelle foibe, impedendo loro persino una normale sepoltura, furono i partigiani. Un bell’onore!

3) Non solo si tace, volutamente, il nome del soggetto colpevole dei crimini delle foibe, ossia – parlando in generale e senza far nomi – dei partigiani, ma si fa una citazione biblica che, per chi se ne intende appena appena di Bibbia, fa venire i capelli dritti in testa, essendo fatta molto male. Al punto che la frase citata viene persino a risultare un insulto a Dio, una bestemmia! E questo sarebbe il modo della città di Belluno di onorare gli infoibati?

Vediamo le cose con precisione. La lapide dice che la frase citata è presa dai salmi 87-88; questo fa credere che, trattandosi di una frase su due righe e con al centro i tre puntini, l’una sia presa dal salmo 87 e l’altra dal salmo 88. E, invece, no! Le due righe sono il versetto 7 del salmo 88 (87), per cui la citazione doveva essere scritta così: «Salmo 88,7» o, al più e volendo essere esageratamente pignoli: «Salmo 88 (87), 7». La lapide, pertanto, fa una citazione sbagliata.

Ma questo, per quanto dia fastidio (perché non è onesto far incidere nel marmo una cosa a casaccio), è ancora il meno. Ciò che veramente irrita e stupisce è che la citazione, come fatta, viene ad essere persino blasfema e il senso della frase un far colpa a Dio (anziché ai partigiani) della morte di quelle persone! Si va male persino a dirlo, ma l’assassino di quelle persone sarebbe stato Dio! Avete mai sentito qualcosa di peggio? Probabilmente no, venite a Belluno per leggerlo inciso sul marmo! Il soggetto sottinteso, trattandosi di un salmo, cioè di una preghiera, è Dio, e a Dio si dice, facendosi voce di quei poveri martiri dei partigiani: «Mi hai gettato nella fossa profonda / nelle tenebre degli abissi». Inaudito!

Nella Bibbia della CEI, approvata anche dai protestanti e pubblicata nel 1985, il salmo 88 (87) è definito: «Lamento di un disperato». Non è proprio un gran titolo, anzi, tutto sommato anch’esso è sbagliato (e ciò vada a vergogna dei vescovi e di chi ha fatto e approvato questa traduzione); era ben meglio scrivere come titolo: «Preghiera di un uomo in grande tribolazione». È, infatti, la preghiera di un uomo in stato di grave malattia ma non disperato; egli si rivolge a Dio e lo chiama suo salvatore, ma non ne può più dei suoi tormenti. Queste le prime frasi o, come si dice, versetti: «Signore, mio Dio, mio Salvatore, / io grido a te giorno e notte. / Giunga fino a te la mia preghiera, / non chiudere l’orecchio al mio pianto. /Sono sazio di sventure, / la mia vita è sull’orlo della morte. / Mi considerano finito, / un uomo ormai senza forze. / Sono abbandonato fra i morti, / come gli uccisi gettati in una fossa, dimenticati da te, per sempre, / lontani dalla tua mano potente. / Mi hai buttato nella caverna più fonda, / nelle tenebre degli abissi. / Pesa su di me la tua collera, / le tue onde mi sommergono. / Hai fatto fuggire i miei amici, / ormai faccio loro ribrezzo […]».

Come ben si vede, il salmista usa frasi con immagini forti, tali da rendere a pieno la sua situazione drammatica. La frase: «Mi hai buttato nella caverna più fonda, / nelle tenebre degli abissi» si colloca in questo suo modo di parlare ma è la preghiera di un uomo che, pur messo a dura prova e si sente quasi abbandonato da Dio nella caverna e negli abissi della morte, cioè – come diciamo noi – «con un piede nella fossa», continua a pregare, continua a sperare nell’aiuto di Dio. Aver preso questa frase e averla messa sulla bocca degli infoibati dai partigiani è veramente osceno. È farle cambiare completamente senso, oltreché cambiare senso al fatto storico in sé; è come dire che, alla fin fine, Dio ha voluto quelle morti, Dio le ha permesse, Dio le ha tollerate: prendiamocela con Dio, non con gli assassini!

Oh, che comodo! Allora, questa frase potrebbe essere applicata anche agli uccisi nei campi di concentramento, dicendo che, alla fin fine, quelle morti furono volute, permesse e tollerate da Dio; tutti i martirii, tutte le ingiustizie nostre, le schiavitù, gli sfruttamenti, le delinquenze, che volete mai? Sono permesse e tollerate da Dio, è lui il responsabile ultimo. Per questo non ci sono dubbi che il messaggio che quella lapide, vicino alla stazione ferroviaria di Belluno, trasmette, è di una indecenza senza pari. Essa dovrà essere rimossa al più presto e dimenticata altrettanto presto, perché non ci dobbiamo più vergognare di essere così indegni della nostra umanità da incolpare Dio (un Dio del quale magari si nega intanto l’esistenza) dei nostri errori, dei nostri crimini. Secondo questo vigliacco modo di agire e di ragionare, le povere vittime delle foibe vennero trascinate a morire e scaraventate a sfracellarsi sulle rocce sottostanti a colpa dei loro disattenti angeli custodi, di un Dio che s’era distratto, che ama questo sì e questo no, a seconda del credo politico.

Signor sindaco di Belluno, rimedii a questa vergogna! Non può fingere di non sapere queste cose; queste cose già per la seconda volta, a distanza di qualche anno, le vado scrivendo, inascoltato, vergognosamente inascoltato (anche da parte della diocesi), ma scripta manent. E la verità, che sembra silenziosa, è un ruggito, o un canto, che non si può prima o poi non ascoltare…

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