COSTANTINI, Il 17 dicembre il Doge distribuiva le osele. La magnifica osela del doge Silvestro Valier

Post di Elio Costantini, del giorno d’oggi, sulla sua pagina Facebook. Il post ha, come immagine, quella dell’osella, recto e verso, qui riportata.

Per antica consuetudine il doge ogni anno al 17 dicembre donava ai nobili del Maggior Consiglio cinque anatre selvatiche. Nel 1514, però, trovandosi Venezia assediata da quelli della Lega di Cambrai e scarseggiando gli uccelli di palude, il Senato Veneto autorizzò il Doge di sostituire il dono tradizionale con delle monete d’argento, del peso di circa 10 grammi, e vennero per l’occasione coniate delle monete raffiguranti da un lato la consueta effige di San Marco e il Doge in ginocchio e, nell’altro lato, l’immagine di un paio di uccelli svolazzanti, da cui il nome osela. La tradizione della consegna delle osele si interruppe, nel maggio 1797, con il passaggio del governo della Repubblica Veneta dal Maggior Consiglio alla corrotta municipalità giacobina.

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Al post, ho aggiunto questo mio commento:

Perdonatemi il sentimentalismo, ma quest’osella del secondo anno di principato del doge Silvestro Valier (Venezia, 28 marzo 1630 – 7 luglio 1700, doge dal 1694) mi ha riempito di entusiasmo! Sotto il profilo della simbologia, mi è sembrata magnifica.

Al recto vediamo un San Marco, relativamente giovanile, seduto sul faldistorio, in atto quasi di alzarsi e protendersi verso il Doge, inginocchiato ai suoi piedi, in un atteggiamento molto simile a quello del vassallo al momento dell’investitura, come a dire: «Io Doge, mi metto a tuo servizio, ti prometto fedeltà, e ricevo dalle tue mani il beneficio della Repubblica». Il richiamo all’essere vescovo di San Marco  è dato, oltre che dal faldistorio, dalla mano destra in atto di benedire, con il pollice, indice e medio alzati, ossia benedire invocando la Trinità (Padre, Figlio e Spirito Santo). È dato, per terzo dal suo reggere con la sinistra il gonfalone marciano (sul quale è accennato il Leone de visu); ma il simbolismo è potente: poiché normalmente un vescovo regge con la destra il pastorale, significa che San Marco considera suo ministero pastorale o vescovile proprio il proteggere la Serenissima; è il grande vescovo della Serenissima e primario patrono del Doge; si ricordi, a questo riguardo, che la basilica di San Marco non era del patriarca ma del Doge, e i conti tornano! Interessanti pure due altri particolari: l’asta del gonfalone termina in alto con una croce, come le croci di tutti i gonfaloni processionali; si tratta, pertanto, a tutti gli effetti, di un gonfalone sacro e non di una bandiera intesa laicamente. Le frange, trattandosi di un gonfalone che deve essere posizionato in verticale, e non sventolare in orizzontale come una bandiera, terminano con dei fiocchi, piuttosto robusti, aventi lo scopo esatto di non farlo sventolare ma tenerlo ben aperto.

A conferma del carattere investitorio della cerimonia raffigurata, abbiamo la posizione delle mani del San Marco e del Doge, l’una sopra (sotto) l’altra; si tratta di una specie di consacrazione del Doge, che diventa partecipe della funzione episcopale di San Marco. Il Doge tiene la destra sul petto. Insomma, non mani congiunte, come doveva essere se stava pregando, ma mani che assecondano l’atto di investitura che San Marco fa a suo beneficio. Quanto a ritrattistica, se posso dir così, Silvestro Valier è raffigurato con i baffi, ma stando ad altri ritratti non li aveva, mentre li aveva suo padre Bertuccio Valier, egli pure Doge, dal 1656 al 1658. Sembra un dettaglio da niente, e invece mostra e conferma quella gentilezza d’animo e quell’amore filiale che lo caratterizzava.

E, infatti, al verso, abbiamo un’altra immagine che trovo persino commovente, come documento bellissimo dell’amore d’un figlio al proprio padre. Incorniciate dal motto «Exemplo monstrante viam» appaiono due aquile (dal becco aguzzo e arcuato e dagli artigli mortali) in volo verso un Sole sorridente e dai raggi allungati, quasi braccia che invitano a sé. Entrambi le aquile portano sul capo il corno dogale, si tratta pertanto (visto che il simbolo araldico dei Valier è un’aquila) del doge Silvestro e di suo padre, il doge Bertuccio (1656-1658), del quale il figlio dice di voler seguire l’esempio. Poiché il Sole è simbolo indiscutibile di Dio, e del Dio incarnato cioè di Gesù Cristo, il doge Silvestro dichiara perciò, con questa immagine, che, ormai avanti negli anni, per tutta la sua vita si è lasciato guidare dalla Fede e dall’esempio del padre, come uomo e cristiano prima ancora che come statista. Mi sia consentito, infine, un breve raffronto con ciò che resta della cappellina di ispirazione templare di Coi, in Val di Zoldo. In essa la vita è simbolicamente raffigurata come un andare da est a sud, dal sorgere della luce al Sole di mezzogiorno, non a ovest, al tramonto.

Questa era la Fede vera, che reggeva le persone, le famiglie e gli Stati. Torniamo ad essa e ne avremo solo da guadagnare. Parola degli antichi Dogi, degli antichi Templari e dei cristiani autentici di tutti i tempi!

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