Le molteplici cause dei difficili rapporti tra le attuali Provincie (italiche) di Belluno e di Bolzano/Bozen

Mappa della Repubblica Sociale Italiana. Le aree segnate in verde facevano ufficialmente parte della R.S.I. ma erano considerate zone di operazione militare sottoposte a diretto controllo tedesco

Si avvicina la data del 26 giugno, con le cerimonia organizzate dagli Italiani e dalla loro Repubblica a Cima Vallona, in ricordo di quattro militari italiani uccisi anni fa. Quello che sconcerta il regime italico e le sue istituzioni è il fatto che, da tempo, a questa cerimonia non partecipa alcuna rappresentanza della Giunta provinciale di Bolzano/Bozen, benché formalmente invitata. Il che conferma che i rapporti tra gli Italiani e la comunità civile dell’Alto Adige/Südtirol, ufficialmente rappresentata (oggi come oggi) dall’ente «Provincia Autonoma di Bolzano/Bozen», non sono per nulla sereni.

Come Veneti comprendiamo molto bene i nostri vicini: anche noi Veneti siamo occupati, e già dal lontano 1866, da uno Stato nel quale non ci riconosciamo e al quale dobbiamo, nostro malgrado e con profonda ingiustizia, sottostare.

Le cause dei difficili rapporti tra le attuali Provincie (italiche) di Belluno e di Bolzano/Bozen sono molteplici e non si riducono, certo, alle recenti polemiche sulla disciplina dei flussi di transito turistico sui passi dolomitici o alla questione, sempre tirata in ballo da chi non accetta di arrivare alla verità vera, del prolungamento della autostrada A27, con il ventilato attraversamento della Val Pusteria.

Anzitutto, per quanto attiene al caso specifico dei fatti di Cima Vallona, se si è onesti bisogna ammettere che uno studioso austriaco, Hubner Speckner, compulsando varie fonti archivistiche austriache, ha sollevato dei dubbi sulla colpevolezza nell’atto compiuto, tant’è che, prima che venissero a galla verità scomode, allo studioso sono stati preclusi gli archivi italiani; il che non toglie, ma piuttosto conferma che – come al solito – in Italia ci sono cose che la Massoneria non vuole che si sappiano. A tal punto che l’Austria non ha concesso all’Italia, che ne chiedeva l’estradizione, i presunti colpevoli (condannati dalla magistratura italiana); al contrario: ha concesso loro asilo e protezione.

Le radici dei difficili rapporti contrassegnano, in verità (e come è noto), tutta la storia della comunità civile dell’Alto Adige/Südtirol nelle sue relazioni, mai scelte ma imposte da quest’ultima, con l’Italia, prima Regno, poi Repubblica. E sono cause di assoluta rilevanza storica.

Il loro primo tragico configurarsi, umano, giuridico e istituzionale, risale all’entrata in guerra dell’Italia il 24 maggio 1915. Con un voltafaccia e uno spirito traditore che nessuna persona onesta può negare, il Governo italiano spergiurava, nel volgere di poche ore, l’alleanza con l’Austria, per schierarsi dalla parte di quanti volevano distruggerla e abbattere il suo Impero, glorioso e cattolico. Tutto d’un tratto, la comunità civile dell’Alto Adige/Südtirol si trovò ad essere, da amica nemica, con le comunità civili contermini, alle quali non aveva fatto nulla di male. Sarebbe da imbecilli voler stendere un velo ipocrita su questo tradimento e colpo mortale, sferrato da uno Stato per loro straniero, che voleva derubarli delle loro terre, della loro identità, della loro appartenenza storica all’Impero. Sarebbe da ingenui credere che nelle trincee dolomitiche non andasse maturato un astio profondo tra le parti contrapposte, che pure erano vissute fino allora perlopiù in rapporti di buon vicinato.

Una seconda e terza radice, molto seria, della tensione tra Alto Adige/Südtirol e Italia , è da individuare nella politica del Governo italiano seguita allo smembramento dell’Alto Adige/Südtirol dalla madrepatria, per inserirlo forzatamente tra le terre soggette al Regno d’Italia. Regno che già aveva da battersi seriamente il petto, per le mille ingiustizie e criminalità che aveva compiuto e che, in quegli anni, cercava di organizzarsi in una forma inedita, sotto la guida di un «uomo forte» proclamato duce del fascismo. Questo poteva andar bene, perché l’Italia aveva bisogno di un uomo capace e deciso a frenare l’avanzata del maledetto comunismo, che aveva fatto crollare lo stesso Impero d’Austria. Ma non fu certamente giusta l’italianizzazione forzata dell’Alto Adige/Südtirol, con l’imposizione di una toponomastica compiacente il Regno d’Italia, né lo fu il trasferimento in massa, di persone e famiglie italiane, soprattutto nel capoluogo. Cose da mal di pancia, essendo violazioni evidenti dei diritti umani!

Una quarta radice delle gravi tensioni attuali con la Repubblica Italiana va ricercata nell’iniziativa detta delle opzioni, del 1939. In base al noto «Proclama delle opzioni», stilato in accordo con il Reich, il Governo italiano consentiva ai cittadini sudtirolesi, qualora avessero scelto di trasferirsi nella Urheimat, la «Patria antica» austro-bavarese, di perdere la cittadinanza italiana e acquisire quella tedesca. La cosa non era però del tutto paritaria: nessuno forse ha mai detto che, in base agli accordi con la Germania, erano scesi in Alto Adige/Südtirol dei commissari tedeschi che invitavano perentoriamente ad optare per la Germania e si spingevano, in alcuni casi, ad entrare negli archivi ed asportare documenti (che inviavano in Austria), per dimostrare un’antica appartenenza del territorio all’area non italiana.

Una quinta causa di conflitto, anch’essa molto seria, sta nel voltafaccia italiano dell’8 settembre 1943, un nuovo tradimento! La provincia di Belluno venne incorporata nell’Alpenvorland, zona di operazione delle Prealpi alle dipendenze del gauleiter Franz Hofer, con sede a Bolzano. Nel Bellunese era stanziato principalmente il II Battaglione del Polizei Regiment «Bozen», insieme ad altre unità trentino-tirolesei. Questi soldati non erano delle SS, come in senso di spregio venivano etichettati, anche perché non erano volontari, né – al pari delle SS – avevano distintivi che li connotassero. Erano semplicemente agricoltori e montanari delle valli atesine, che avevano risposto alla chiamata alle armi fatta dal Governatore.

Avevano tendenze autonomistiche ed erano assai religiosi. A fine guerra i loro presidii si arrendevano facilmente, perché i soldati pensavano, con la resa, di poter tornare a casa e rivedere i loro figli. Ma poche volte, purtroppo, si verificò il loro desiderio. I loro avversari, i partigiani, avevano scarsa pietà per questi soldati, benché fossero prigionieri di guerra e tutelati dal diritto militare internazionale. La barbarie – si sa – è di casa durante le guerre, ma non è ammissibile a guerra finita. Nei centri maggiori dell’Alto Adige/Südtirol il ricordo delle violazioni del diritto dei prigionieri, ad opera dei partigiani bellunesi, è assai sbiadito, ma nelle convalli e nelle loro popolazioni questi fatti sono tutt’altro che dimenticati. E d’inverno, quando nei masi si riuniscono i nuclei familiari, al calore del fuoco, se non è una volta è l’altra che torna a galla il racconto delle sofferenze e tragedie subite dai loro nonni nel Bellunese.

Non è dubbio che siano questi fatti storici, imponenti, e questi sentimenti e ricordi strazianti alla base  dei difficili rapporti tra le attuali Provincie (italiche) di Belluno e di Bolzano/Bozen; nonché, più in generale ma non secondariamente, dei difficili dei difficili rapporti tra l’attuale Provincia (italica) di Bolzano/Bozen e la Repubblica Italiana, forse la più disomogenea per identità e, comunque, senza fondamento storico che la legittimi, tra gli Stati europei, per una sua immaginaria identità complessiva di nazione.

Esprimo, infine, un sentito ringraziamento al colonnello degli Alpini dott. Corrado Ghezzo, per la gentilezza di alcune informazioni fornitemi, soprattutto quelle riguardanti i fatti seguiti all’incorporamento nell’Alpenvorland, da lui studiati da molti anni.

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